domenica 11 giugno 2017

La scuola è finita: andiamo in pace

Anche quest'anno la scuola è finita. Durante le vacanze di Pasqua, ultima pausa prima del trambusto finale, l'impressione è quella che il mese di giugno sia lontano come un'era preistorica. Invece in un attimo ci si ritrova a staccare le carte geografiche dai muri delle aule, a riporre con affetto i dizionari negli armadi, ad accarezzare i banchi con un sospiro di nostalgia. Fortunatamente ci sono gli scrutini finali, con la loro burocraticità, a smorzare un po' l'atteggiamento malinconico di noi insegnanti alla chiusura delle lezioni!
 Immagino che anche in Italia avvengano più o meno le stesse dinamiche. Qui la differenza è che la fine delle lezioni coincide anche con un grande esodo. Verso l'Italia. E le vacanze. Quando ci si saluta, con le lacrimucce che penzolano dalle ciglia e un fastidioso quanto inopportuno moccolo che penzola dal naso, normalmente la formula accompagnatoria è :"Ci si rivede a settembre". Qui è da prendere alla lettera. Significa che non c'è possibilità che ci si incontri per caso al supermercato, all'ufficio postale o al parco. Perché effettivamente fino a settembre tutto emigrano temporaneamente.   Ognuno torna alla propria casa. Già, ci ostiniamo ancora a chiamarla così, anche se ci passiamo solo due mesi all'anno, perché è lì che ci sono le nostre radici, le nostre famiglie, gli amici. È il luogo degli affetti, tanto amato e ricorrente nei racconti che ci accompagnano nelle lunghe serate del sabato sera passate con i nostri compagni di viaggio. Già, perché noi non siamo davvero migranti. Penso che la definizione più giusta, per molti di noi, sia "viaggiatori". Sempre con le valigie pronte nel sottoscala, perché qui non sai mai cosa ti può portare il domani ed è meglio essere preparati. 
La fine della scuola coincide con giorni frenetici, in cui si cerca di riordinare il caos accumulato negli armadi, sulle scrivanie, dietro la porta, nello sgabuzzino.
 Da noi il cambio di stagione si fa a metà giugno. 
Ore intere passata a fare l'inventario delle medicine (2 scatole di tachipirina, 3 di analgesici, due di cerotti, 4 flaconi di acqua ossigenata, uno di fermenti lattici,...), dei quaderni  e del materiale scolastico (3 a ricche di prima elementare, 5 a quadretti di quinta, un album da disegno, due scatole di tempere, dieci matite colorate senza punta, una gomma,...), delle scarpe (un paio di sandali taglia 31, una scarpa da ginnastica spaiata taglia 32, 6 paia di ciabatte da piscina taglia 36 nuove, ...), per poter compilare una nuova lista di ciò che sarà necessario comprare per rinfoltire l'assortimento sapendo già che, come ogni anno, a settembre mancherà sempre qualcosa. Ma come? Non hai preso il costume per la piscina di quella particolare sfumatura di rosa?!?
Si aprono cassetti che non si sapeva nemmeno di avere, si scoprono indumenti di cui non ci si ricordava nemmeno più. "Ecco dov'era quella maglietta che ho comprato al mercato ad agosto!". 2014.
Le scrivanie riportano alla luce reperti polverosi e ricchi di fascino. Con l'accuratezza di un archeologo, spolvero in giro con un pennellino, per evitare di rovinare preziose tracce di un recente passato: ogni più piccolo scarabocchio sul retro di uno scontrino viene archiviato in una scatola. Che finirà immancabilmente nello sgabuzzino. O, in alternativa, nel sottoscala. A far compagnia alle valigie.
In casa sembra che sia esplosa una bomba, mentre noi ci aggiriamo come zombi in cerca dei propri pezzi cadenti. "Qualcuno ha visto per caso il paio di pantaloni che ho indossato mercoledì 3 febbraio per andare a lavorare?". Ci guardiamo, affranti. No, i pantaloni non salteranno fuori. Lo sappiamo. A meno che loro stessi non lo decidano. 
Nell'attesa ci consoliamo: sono iniziate le vacanze. Niente più sveglie all'alba, niente più scadenze, niente più orari. Il nostro corpo si sta abituando in fretta. Anche se mancano pochi giorni alla partenza e le valigie ci osservano minacciose (quando mi riempi? Non aspetterai come al solito l'ultimo momento, vero?), noi ce la prendiamo con calma. Come all'indomani di una battaglia, contiamo i feriti, ci curiamo le ferite. Ma soprattutto ci godiamo la pace.

mercoledì 22 marzo 2017

Pollice (opponibile al) verde

È mattina. Domenica mattina, per la precisione. Insieme ad un paio di amici e alle mie figlie, armate di busta di plastica e acqua, ci inoltriamo nella natura gentilmente offerta dallo stato nigeriano. Obiettivo finale: immersione nell'oceano. Obiettivo a breve termine: ringalluzzire i rispettivi giardini con alcuni esemplari della flora locale.
Dopo dieci minuti di camminata in mezzo al villaggio, dopo aver salutato come vecchi amici alcuni militari, un paio di vecchietti, circa un centinaio di bambini ( che ci hanno accolti al grido di "OIBO!!!", cioè "Bianchi!"), abbiamo le lingue avvolte alle caviglie. Nemmeno nel Sahara fa così caldo. Sono le dieci. Il sole è così caldo che evapora il cervello, o quel che ne rimane.
Stiamo meritando se sia il caso di inoltrarci ulteriormente, quando una piantina di ..boh!?chissà come si chiama... incrocia il nostro cammino. Ci guardiamo. È lei. La nostra prima preda. Ci chiniamo. La osserviamo da vicino. Accarezziamo con nonchalance le sue foglie. Facciamo un primo tentativo di estrazione. Senza dare nell'occhio, eh? non sia mai che uno dei nostri fan del villaggio si sia affezionato. Nessuno banfa. Se mai io rantolo, ecco. Poi, con un colpo secco, la estraiamo. Dalle sue radici, ancora umide, scrolliamo un po' di sabbia. Gioco di sguardi e...Zac... la infiliamo di prepotenza nella busta. Ci sta quasi per intero, nessuno se ne accorgerà. Del resto non c'è nessuna legge federale che vieti la sottrazione di piante dal suolo pubblico. Ma qui sta il problema, il nocciolo della questione, l'inghippo primordiale: siamo su suolo pubblico? Incuranti, proseguiamo. Naso all'insù, il vento nei capelli, alterniamo un passo dopo l'altro su una sabbia sempre più rovente. A pochi metri una piantagione di alberi del pane ci accoglie con un sorriso. O almeno è così che sembra a noi. Un'altra carezza, una tiratina e...zac... un'altra preda finisce nella busta. Un po' più in carne della precedente, in effetti ora una decina di foglie fanno capolino dalla borsa. Ma tant'è... in dieci minuti il raccolto è completo e ci avviamo verso la spiaggia. Accaldati ma soddisfatti, ognuno di noi pensa a quando, la sera, a casa, potremo mettere nei vasi il frutto delle nostre fatiche. Io mi immagino un bel giardino pieno di fiori tropicali profumati. Già... peccato non aver messo in conto la mia proverbiale incapacità di far crescere alcun tipo di vegetale. Passi una figlia, ne passino due, ma le piante proprio non sono il mio forte. Sotto le mie dita semplicemente le piante si suicidano. Nonostante le cure, l'impegno, i consigli di amici, l'oroscopo...
Così, con tanta speranza nel cuore, anche stavolta ci ho provato.
Vabbè, che dire? Andrà meglio la prossima volta?

venerdì 24 febbraio 2017

Locali tutti i gusti +1



LOCALI TUTTI I GUSTI +1
       ovvero
Il cliente ha sempre fame
L'immagine può contenere: casa, cielo e spazio all'aperto


Ore cinque. Un pomeriggio come tanti in quel di Lagos. Sono sul balcone, a godermi la brezza calda che soffia da sud, quando un pungente odore di vernice cattura la mia attenzione.
Non ho dubbi sulla sua provenienza, ma alzo comunque lo sguardo in quella direzione per conferma. I miei sospetti erano fondati.


A 100 metri in linea d'aria dal mio olfatto, in effetti, è appena stato installato un cartello appena verniciato che promette delizie infinite per buongustai: cibo 24 ore. Chiaro. Conciso. Infraintendibile.
L'ultima trovata di marketing per uno dei locali della città più versatili.
Da quando è stato aperto, pochi anni fa, io e e mio marito siamo stati i testimoni diretti di tutte le iniziative ivi promosse. Senza mai metterci piede. Anzi, senza mai muoverci dal balcone di casa nostra.
La prima, grande trovata, è stata quella di costruire un padiglione adiacente al locale in muratura vero e proprio, una tettoia convessa adatta agli usi più svariati, dalla proiezione su maxi schermo di partire di calcio, a concerti dal vivo (alcuni notevoli, devo dire), alla serata Karaoke (come spesso accade, al limite dell'agghiacciante). Per alcuni mesi, ci siamo stupiti della varietà offerta agli avventori che, in ogni serata della settimana, potevano trovare un'offerta diversificata per tutti i gusti. Poi, qualche tempo dopo, lo staff del locale ha avuto un'altra trovata geniale: l'installazione di pannelli luminosi su due pareti fronte strada, che di sera avrebbero dovuto richiamare l'attenzione degli automobilisti e costringerli ad una sosta per godere delle numerose offerte in programma.
Non contenti di aver avviato una programmazione notturna sostanziosa, si è aggiunta l'attività diurna di yogurteria, anch'essa ampiamente pubblicizzata da cartelloni verniciati.
Ma non era finita qui.
Spesso il locale organizzava eventi mondani, prevalentemente legati al mondo della moda, e la strada si riempiva di musica e colori. Insomma, per noi spettatori da balcone è spesso stata fonte di divertimento (soprattutto il Karaoke, se devo essere sincera).
Poi il tracollo.
Niente, non girava. La città è talmente grande e i suoi abitanti così capricciosi, che il nostro povero localino ha iniziato a diminuire il numero degli eventi, limitandosi ad un paio alla settimana.
Una sera, credo sull'orlo della disperazione, ha iniziato a campeggiare una scritta a caratteri cubitali, che recitava: "Stasera ragazze calde". Dal karaoke al nightclub nel giro di un amen, insomma.
Infine il nulla.
Per mesi non abbiamo più dovuto mettere i tappi nelle orecchie per non sentire il rullio dei tamburi o le note storpiate di "No, woman no cry". Le luci spente, il parcheggio vuoto.
Abbiamo temuto il peggio.
Ma da qualche settimana le attività sono riprese. Per prima cosa i pannelli luminosi sono stati sostituiti. Poi abbiamo iniziato a scorgere squadre di operai al lavoro. Che fosse in atto una ristrutturazione in grande stile? Che fosse in programma un grande evento?  Eppure quando le luci si sono di nuovo accese, poche sere fa, di avventori nemmeno l'ombra. Ma ora, con questa nuova iniziativa, chi ha più dubbi? Il locale è vivo come mai prima d'ora. 24 ore di cibo al giorno. Nemmeno Mc Donald's (che qui, fortunatamente, non è approdato). Chissà quali delizie, quali manicaretti, quali prelibatezze accoglieranno da oggi in poi gli avventori... 
Ora, per quanto auguro loro il pieno successo, un dubbio si fa strada nella mia mente bacata, una pericolosa associazione di idee, forse veicolata dall'aver recentemente letto un articolo sul valore rituale del cannibalismo nelle società tribali: che fine hanno fatto le "ragazze calde"?

domenica 19 febbraio 2017

L'eleganza del tasso

L'ARTE DEL RICICLAGGIO

Tra pochi giorni ci sarà la festa di Carnevale a scuola. Ho rimandato fino all'ultimo, ma ora mi tocca proprio aprire l'armadio e scoprire se, tra i costumi accumulati negli anni, con la complicità di qualche aggiunta, si nasconda un travestimento all'altezza dei desideri delle mie bambine. L'anno scorso ci avevo messo tanto impegno a creare un bel costume da zingara alla più grande, con tanto di bracciali sonanti, gonna a strati, scialle, foulard, finti orecchini a cerchio, per poi scoprire che -forse- avrebbe preferito far parte della schiera delle Else di Frozen o delle Cenerentole (intramontabili! C'è n'è sempre qualcuno ad una festa di Carnevale che si rispetti). Con un bel calcio all'ansia di originalità della mamma creativa, che per sè si era creata un simpatico costume da nonnina di Madagascar (avete presente? Quella che dice "Gatino cattivo" e giù di borsate in testa ad Alex il leone).
Perciò apro l'armadio e ci vado cauta. Seleziono i costumi che, come taglia, potrebbero fare al caso nostro. Li stendo sul lettone, con tanto di accessori al seguito, per valorizzarne le potenzialità. Mi soffermo su ciascuno, sottolinendone i pregi. Davanti a me, le bambine mi guardano con occhi da triglia. Chissà che pensano?!! Probabilmente si chiedono fin dove mi spingerò quest'anno. Dove sta la fregatura, in sostanza.
 Fata madrina di Cenerentola.
Fatina con tutù rosa.
 Fata dei dolci.
 Fata dell'acqua.
 Fate di tutti i tipi.
 Ma un bel costume da idraulico non ce lo propina quest'anno? Non aveva detto :"Quest'anno ci vestiamo tutti da tassi?". Lo smarrimento nei loro occhi è lampante. Davanti a loro ci sono solo costumi comprati. Niente di fatto in casa. Niente di riciclato. Niente cucito fai da te e colla a caldo. Perplesse, iniziano a provarsi alcuni dei travestimenti. Con poca convinzione, se devo essere sincera. Il dubbio, contagioso come l'ebola, si fa strada nella mia coscienza: che io abbia frainteso? Che la loro fosse solo una mossa studiata per destabilizzarmi? Che alla fine preferiscano i miei costumi strambi all'omologazione di quelli dei negozi? E ora come glielo confeziono un abito da tasso in quattro giorni?
Poi, dolcemente, un sorriso timido si fa strada sul viso della più grande, che si sta ammirando in un grazioso tutù rosa confetto corredato da alucce e coroncina.
"Chi potrei essere con questo vestito?".
"Una fata?" Propongo, indecisa e sospettosa.
Ma la delusione che leggo nei suoi occhi mi intima di correre subito ai ripari.
"No, certo. Banale. Ecco... potresti essere...".
Gli occhietti si fanno piccoli piccoli, mentre il mio unico neurone rimasto cerca disperatamente un appiglio.
"La fata dello zucchero filato?" Propone timidamente il mio piccolo aguzzino di rosa vestito.
"Proprio! Mi hai rubato di bocca il suggerimento". Il mio petto sussulta impercettibilmente cercando di camuffare un sospiro di sollievo.
 Niente tasso. Sarebbe stato elegante, ma no: a noi ci piacciono le fate

mercoledì 15 febbraio 2017

Pantofole felpate e fette di prosciutto




 Eccomi. È di nuovo il momento. Un rivolo di sudore mi scivola dal naso. Sono agitata, ma non voglio che nessuno se ne accorga. Devo essere forte. Più del solito. Stringo ansiosamente il manico del carrello e parto, facendo lo slalom tra i banchi dei surgelati. Questa volta andrà meglio, mi dico. Questa volta non mi farò trovare impreparata. Questa volta farò valere le mie ragioni. Ci siamo. Davanti a me, il nemico. A separarci solo una lurida vetrinetta che, in tempi migliori, sarà stata trasparente, ma che ora a mala pena lascia intravedere le merci esposte. Scelta oculata, quella di lasciarla sporca. Nessuno vuole vedere quanti microrganismi si possono celare dentro a qualche vaschetta di olive, tofu o feta. intorno a me non c'è nessuno. È il mio turno. Alzo gli occhi, lentamente. Lei è lì, in annoiata attesa. La osservo per qualche secondo. Un guizzo nei suoi occhi mi svela che nemmeno per lei è un gioco. Mi faccio coraggio e apro finalmente la bocca. Vomito fuori la mia richiesta, come se fosse una domanda d'aiuto. "Dueettidiprosciuttoaffumicatoinfettetagliatesottili". Non mi ricordo nemmeno di chiedere "per favore", da tanta è l'ansia. Lei mi guarda. Immobile. Nulla fa presagire che voglia agire nei prossimi minuti. Ripeto la mia richiesta più lentamente. Forse non ha capito. Del resto il mio inglese è tutto fuorchè chiaro e comprensibile. Scandisco bene ogni parola, accompagnandola con ritmati ed inequivocabili gesti. un sopracciglio della mia interlocutrice si alza, impercettibilmente, ma io l'ho notato. Avrà capito? Ti prego, dimmi di sì. Dimmi che anche stavolta non mi toccherà sfoderare la tipica arroganza di chi pretende che ad un banco di gastronomia ti servano esattamente quello che chiedi e in tempi brevi!!! L'attesa si prolunga. Lei si muove... avanza lentamente verso di me... io indietreggio, probabilmente per un istintivo moto di autoconservazione. Ma no, cosa vado a pensare? Tra me e lei c'è la vetrinetta, non mi farà nulla, sta solo prendendo il salume che le ho richiesto. Con un cenno della testa me ne chiede conferma. Visto? E io che me la stavo facendo sotto... Che sciocca!!! Eppure non sono tranquilla. A disturbarmi c'è un rumore- no, non ci posso credere! È proprio QUEL rumore!- come se al di là del bancone stessero trascinando un quarto di bue morto e sventrato. Eppure non posso sbagliarmi. La commessa sta strascicando i piedi. Nemmeno il più menefreghista dei bradipi riuscirebbe a metterci tanto a compiere un percorso di ben 50 cm! Lei sì. Lei può. Ho una mia teoria, comprovata da sei anni di esperienza: data una commessa di un supermercato nigeriano, a patto che indossi un paio di ciabatte infradito di plastica, esiste una relazione direttamente proporzionale tra la stessa e la lentezza con cui verrà servito il malcapitato cliente. È sabato. Giorno di spesa. Anche oggi ce l'ho fatta. Ho la mia brava vaschetta di prosciutto, tagliato a fette, nella borsa della spesa. Sottili- aggiungerei volentieri. No. Inutile darvi false speranze. La commessa ciabattata in realtà non ha le competenze per tali prodezze. Dopo quindici minuti di attesa, quando il rivolo di sudore aveva ormai raggiunto il mio alluce destro, con una smorfia di disgusto mi ha allungato un pezzo di polistirolo dove erano comodamente adagiate quattro bistecche di prosciutto affumicato, peso totale: 2,50 etti. "Che faccio: lascio?", mi ha ringhiato. Lascia! Lascio anch'io. La vittoria ha un sapore amaro, in fondo. Sa di affumicato

venerdì 25 aprile 2014

Elemosine

Oggi sono uscita con le bambine e siamo andate a fare la spesa. Il tragitto in macchina non e' lungo, ma essendo venerdi' ci siamo trovate nel giro di pochi minuti imbottigliate nel traffico. Subito si avvicina un tipo al mio finestrino: ha una maglietta logora e un cartello appeso al collo, con una scritta. Giro la testa. Non lo voglio vedere. Andiamo avanti per qualche metro, poi di nuovo fermi. Stavolta al finestrino si avvicinano un uomo che tiene la mano ad un bambino: l'uomo e' cieco e il bambino gli fa da guida. Mano tesa verso di noi. Poco piu' in la' la scena si ripete, ma stavolta e' una bambina ad accompagnare l'immancabile sfortunato. A tutti, regalo la mia indifferenza. Gia', indifferenza... Col cavolo! Questo e' quello che voglio far credere. Dentro sto macerando una rabbia infinita, un bisogno primordiale di urlare tutto il mio fiato contro questa gente, questo popolo, che si degrada davanti alle ruote della mia macchina, che si inginocchia supplicandomi chissà cosa, che tende le mani per afferrare...cosa?????? Cosa vuoi che ti dia? Qualche soldo? Tieni. Prendi pure tutto il mio portafogli. Ecco, questo e' il mio numero di conto in banca: vai, svuotalo! E poi?????? Una volta ripulitami la coscienza con uno, due mendicanti? Starò' meglio? Domani, quando li rivedrò e non avrò altro da dare, mi sentirò comunque a mio agio perché li ho già aiutati oggi? Quante parole si spendono sul significato dell'elemosina! Ma qui, che i poveri sono OVUNQUE e non si puo' davvero aiutare tutti, che stendere la mano ai lati della strada o approfittare delle disabilita' di qualcuno per commuovere e' un business, qui... A maggior ragione dovrebbero valere tutte le giustificazioni con cui ho costruito il mio pensiero. L'elemosina degrada chi la da' e chi la riceve. Ma la mia dignità, dopo che ho distolto lo sguardo, dov'e finita?

domenica 19 gennaio 2014

IMPRESSIONI DI UNA CONSUMATRICE

Ieri era sabato e, come tutti i sabati, sono andata a fare la spesa. Premetto che a me fare la spesa piace tantissimo: aggirarmi come un predatore tra i reparti del supermercato, annusare i profumi che, inevitabilmente, salgono dagli scaffali, ammirare l'esposizione ordinata dei prodotti, lasciarmi consapevolmente attirare da ogni genere di offerta... tutti aspetti che mi contraddistinguono come consumatrice accanita e perseverante; anche se la vera poesia la sento solo quando entro in una bottega artigiana, pure un supermercato per me ha il suo fascino. Soprattutto quando mi capita di viaggiare ed entrare in un grande magazzino "straniero".
In Nigeria, all'inizio, l'esperienza della spesa non era per me poi così gratificante : gli odori erano tutt'altro che piacevoli (primo fra tutti quello di naftalina, usata in dosi massicce per tener lontani dagli scaffali i temutissimi scarafaggi), i prodotti disposti un po' alla rinfusa, le corsie strette e ingombre, l'angolo delle offerte deludente... Insomma, fare la spesa mi sembrava più una tortura che un piacere! e poi il fatto che il rifornimento della varietà dei prodotti sia discontinuo, non mi permette di affezionarmi troppo ad un tipo di biscotti piuttosto che ad una marca di shampoo, cosa che mi fa sentire sempre insicura e confusa.
Il supermercato che frequento io si chiama Park and Shop, letteralmente Parcheggia e Compra, anche se la prima parte del nome è ingannevole, in quanto il parcheggio è assolutamente sottodimensionato al numero di macchine della clientela che, disperatamente, gira per ore alla ricerca di un buco in cui infilarsi (forse anche perchè il parcheggio è stato creato per delle macchine tipo utilitarie, ma qui girano solo SUV o simili...).Non trovando grandi soddisfazioni nel gironzolare tra le corsie, generalmente seguo un percorso fisso, sempre uguale, quasi da psicotica, agguantando sempre le stesse tipologie di prodotti, più o meno sempre nello stesso quantitativo, con l'ansia di non dimenticare nulla e dirigendomi infine, a capo chino, sconfitta, verso le casse, dove sempre mi aspetta una coda di almeno mezz'ora e un conto salatissimo, che solo in un negozio di prodotti biologici potrei aspettarmi.
Da qualche tempo, invece, ho iniziato a godere dell'esperienza della spesa settimanale: intanto perché in questi tre anni ho visto un notevole miglioramento nel servizio alla clientela e nella scelta dei prodotti offerti  (non vorrei azzardarmi a dire che forse hanno iniziato a prendersi un po' cura dei clienti, ma ci avviciniamo molto a questo concetto), ma soprattutto perché in effetti è cambiato il mio atteggiamento.  Quasi sempre mi capita che, all'ora in cui normalmente vado io fare la spesa, all'interno del supermercato mi senta un po' come una mosca bianca: nel senso letterale del termine! Anche se lo nascondo bene, di natura sono timida e generalmente mi piace passare inosservata. Difficile quando, in mezzo a centinaia di persone, sono l'unica con un colore di pelle diverso, no? eppure anche questo non mi pesa più, anzi! Le cassiere mi riconoscono e mi salutano gentilmente, chiedendomi notizie delle mie bambine; mi destreggio ormai bene anche con la lingua e riesco tranquillamente a chiedere informazioni sui prezzi o sulla tipologia di un prodotto; ormai so quali tipi di formaggio scegliere al banco gastronomia senza avere brutte sorprese (tipo non prendere formaggi nord europei arancioni fosforescenti e dal gusto di plastica riciclata)...
Ieri, poi, ho contato ben 20 (VENTI!) espatriati come me a zonzo per il Park and Shop: in particolare mi hanno colpito due signore, alte e bionde, forse americane, palesemente appena arrivate e un po' spaesate. Peccato non avere avuto il coraggio di avvicinarle e dire: "Coraggio! Prima o poi vi abituerete!!". Mi sono limitata a un sorriso, ho abbozzato un saluto e ho tirato dritto, con il mio carrello cigolante.