venerdì 27 maggio 2011

per le strade allagate

Piove.
Anzi.
Diluvia.
Ne viene giù tanta, ma così tanta, che stanotte mi sono svegliata al suono, apparentemente innocente, del ticchettio dell'acqua... che dal soffitto grondava sul mio comodino!!!! Il tetto, un po' che è vecchio, un po' che ha degli anfratti inesplorati dall'uomo ma conosciutissimi dalle formiche (che li hanno perforati in lungo e in largo), è ridotto ad un colabrodo. Per cui, quando piove pesantemente, l'acqua passa e ci arriva direttamente in casa. Addirittura sulla testa, nel mio caso di stanotte.
Ma questi piccoli disagi domestici non sono niente in confronto a ciò che accade per le strade, dove il sistema di scolo delle acque non è assolutamente adeguato e dove ogni buca nasconde le potenzialità di un lago.
All'indomani di una nottata di nubifragio, lo spettacolo offerto dalle strade di Lagos è sensazionale. Il manto stradale è irriconoscibile: l'acqua si è portata via un bel po' di detriti di varia natura, depositandoli a marcire in grossi cumuli informi e maleodoranti, e in alcuni punti si sono formati veri e propri fiumi che continuano la loro folle corsa verso il mare, ignari della direzione da prendere.
In questo caos diluviano, dai finestrini del pulmino della scuola fermo nel traffico, mi sono soffermata ad osservare le macchine che, invano, cercavano di farsi strada nel pantano. Le più basse, ovviamente, erano quelle più a rischio: ne ho viste un paio ferme in mezzo ad una vera e propria palude, senza la possibilità di avanzare, il conducente con gli occhi speranzosi rivolti al cielo, nell'attesa di un imminente ritorno del sole evaporatore a sbloccare la situazione. I più fortunati, i camion, sfrecciavano come motoscafi in mezzo alla laguna. Un paio hanno attirato la mia attenzione: la pioggia aveva lavato via la crosta multiforme dalla carrozzeria, rivelando disegni coloratissimi e scritte incomparabili.
Allah is great
God time is the best
Peace mouvement
good luck
...
Ogni autista di camion o di pulmino che si rispetti, ha l'obbligo morale di dipingere sul proprio mezzo le proprie convinzioni religiose, il proprio pensiero filosofico o anche semplicemente il riferimento ad un salmo della Bibbia, magari particolarmente significativo. Un modo per dire a tutti, in modo immediato: "Io la penso così: guardati dal provocarmi o dal mancarmi di rispetto". E' segno di un alto grado di civiltà, credo. Così, incidentando con "Allah is great", ci si guarderà bene dal nominare il nome di quel dio invano, oppure davanti a "Good Luck", ci si dovrà rassegnare al fatto che, probabilmente, l'autista non è dotato di assicurazione contro gli infortuni.
Mentre "ragiono" di questi massimi sistemi nigeriani, il bus svolta: davanti a noi, nella rotonda, si profila lo scheletro di un gabbiotto della polizia, dove sostano i cosiddetti "Yellow Fever" in attesa di sprovveduti a cui fare contravvenzioni. Queste persone, versione nigeriana dei nostri vigili urbani, derivano il loro soprannome dalla camicia della divisa, di color giallo paglierino, e in realtà sono lavoratori autonomi, perchè non dipendono nè dallo stato nè dal comune della città. Semplicemente loro campano delle multe che riescono ad affibbiare agli utenti della strada. Capite bene che, non esistendo un codice della strada e neppure un sistema che imponga agli automobilisti e ai motociclisti di seguire un corso di guida (la patente si compra, basta tirar fuori i soldi), per non parlare di un minimo senso logico nell'uso dei segnali e delle precedenze, la potenzialità di arricchirsi sulle multe è altissima. Ecco perchè, a volte, sembra che gli  Yellow Fever  ti guardino con astio: se non sgarri, loro non guadagnano.
Ma no, è solo un'impressione, un'allucinazione data dal caldo! e infatti, a smentire ogni sospetto, anche loro hanno dipinto una scritta sul gabbiotto in cui sostano nell'attesa di punire gli errori altrui. A lettere variopinte è possibile leggere il loro motto: "POLICE IS YOUR FRIEND".

martedì 24 maggio 2011

Al parco naturale

Domenica scorsa io e la famigliola siamo andati in esplorazione. Senza bussola, senza cartine stradali, senza gps, senza nulla se non i nostri occhi e una curiosità ancestrale.
Obiettivo del tour di ricognizione era trovare nuove spiagge in cui passare il fine settimana, possibilmente corredate di palme da cocco e poco frequentate. Le scarse nozioni di geografia locali erano comunque sufficienti per indirizzarci verso sud e così, lasciata la "civiltà", abbiamo fatto vela verso i luoghi più selvaggi di questa enorme metropoli.
Che dirvi? Le spiagge si trovano, ma nulla di soddisfacente e così, avendo capito che il nostro obiettivo non sarebbe stato facile da perseguire, abbiamo cambiato rotta e ci siamo imbattuti nel parco dello Chevron. o della Chevron, va sapere...
Qualche settimana prima Emma ci era andata in gita con la scuola e così, con lei come guida, ci siamo inoltrati in questo parco, nato pochi anni fa allo scopo di preservare quel po' di natura che ancora esiste qui intorno.


E' un vasto spazio parzialmente organizzato: un circuito fatto ad 8, su di una passerella sopraelevata, in cui si possono ammirare esemplari rarissimi di fauna e flora locale. In quest'ordine: un uccello lacustre, due iguane, una biscia arborea, uno scoiattolo, cinque scimmie, milleottocentocinquantaduemilioni di zanzare, una famiglia di pavoni con cuccioli al seguito, una tartaruga di 10 anni e una di 97 (con cui ho fatto - e vinto- una competizione di rughe).

Il tour completo dovrebbe essere di circa un'ora, ma noi abbiamo fatto alcune pause...


Le scimmie sono le meno timide: non sono molte, ma evidentemente assuefatte alla presenza dell'uomo. Io mi sono immaginata di essere nelle loro pellicce e di essere in gita al parco degli uomini. "Guarda quell'umano, mamma! Ci sta guardando attraverso una strana scatola! Senti? Ha fatto click! E guarda quel cucciolo, che corre su quel bizzarro albero piatto...Che carini che sono! Gli possiamo dare le noccioline o è vietato?"


"Facciamo la gara a chi corre più veloce?". 
"No, senti: oggi ho mangiato troppa insalata. Mi sento appesantita. Facciamo un'altra volta?"


Ogni metro c'è questa natura incredibile che sussurra, che freme, che bisbiglia. Un ramo si spezza al passaggio di chissà quale esemplare e subito ci si ferma nel tentativo- vano- di sorprendere una scimmia nel suo saltare di ramo in ramo, o un'iguana che caccia tra le mangrovie.
 Il fitto del bosco è quasi opprimente: non soffia un filo d'aria, il caldo è umido ed intenso, gli unici rumori provengono interamente dalla natura, che prepotente cerca un suo ruolo da soubrette. Almeno qui. 


Poi, improvvisamente, una radura si apre davanti a noi. Lo spazio ristoro. Un parcogiochi. Un gruppo di variopinti personaggi seduti all'ombra degli alberi: una famigliola di indiani che, come noi, cerca un po' di pace in questa calda domenica. Oscar fa due tiri a cricket con loro e per un attimo sembra di essere in Italia, in uno di quei parchi, frequentatissimi nei giorni estivi, quando basta che uno tiri fuori un pallone ed è subito partita.
E ti capisci anche se non dici una parola, se comunichi a sorrisi.