venerdì 24 febbraio 2017

Locali tutti i gusti +1



LOCALI TUTTI I GUSTI +1
       ovvero
Il cliente ha sempre fame
L'immagine può contenere: casa, cielo e spazio all'aperto


Ore cinque. Un pomeriggio come tanti in quel di Lagos. Sono sul balcone, a godermi la brezza calda che soffia da sud, quando un pungente odore di vernice cattura la mia attenzione.
Non ho dubbi sulla sua provenienza, ma alzo comunque lo sguardo in quella direzione per conferma. I miei sospetti erano fondati.


A 100 metri in linea d'aria dal mio olfatto, in effetti, è appena stato installato un cartello appena verniciato che promette delizie infinite per buongustai: cibo 24 ore. Chiaro. Conciso. Infraintendibile.
L'ultima trovata di marketing per uno dei locali della città più versatili.
Da quando è stato aperto, pochi anni fa, io e e mio marito siamo stati i testimoni diretti di tutte le iniziative ivi promosse. Senza mai metterci piede. Anzi, senza mai muoverci dal balcone di casa nostra.
La prima, grande trovata, è stata quella di costruire un padiglione adiacente al locale in muratura vero e proprio, una tettoia convessa adatta agli usi più svariati, dalla proiezione su maxi schermo di partire di calcio, a concerti dal vivo (alcuni notevoli, devo dire), alla serata Karaoke (come spesso accade, al limite dell'agghiacciante). Per alcuni mesi, ci siamo stupiti della varietà offerta agli avventori che, in ogni serata della settimana, potevano trovare un'offerta diversificata per tutti i gusti. Poi, qualche tempo dopo, lo staff del locale ha avuto un'altra trovata geniale: l'installazione di pannelli luminosi su due pareti fronte strada, che di sera avrebbero dovuto richiamare l'attenzione degli automobilisti e costringerli ad una sosta per godere delle numerose offerte in programma.
Non contenti di aver avviato una programmazione notturna sostanziosa, si è aggiunta l'attività diurna di yogurteria, anch'essa ampiamente pubblicizzata da cartelloni verniciati.
Ma non era finita qui.
Spesso il locale organizzava eventi mondani, prevalentemente legati al mondo della moda, e la strada si riempiva di musica e colori. Insomma, per noi spettatori da balcone è spesso stata fonte di divertimento (soprattutto il Karaoke, se devo essere sincera).
Poi il tracollo.
Niente, non girava. La città è talmente grande e i suoi abitanti così capricciosi, che il nostro povero localino ha iniziato a diminuire il numero degli eventi, limitandosi ad un paio alla settimana.
Una sera, credo sull'orlo della disperazione, ha iniziato a campeggiare una scritta a caratteri cubitali, che recitava: "Stasera ragazze calde". Dal karaoke al nightclub nel giro di un amen, insomma.
Infine il nulla.
Per mesi non abbiamo più dovuto mettere i tappi nelle orecchie per non sentire il rullio dei tamburi o le note storpiate di "No, woman no cry". Le luci spente, il parcheggio vuoto.
Abbiamo temuto il peggio.
Ma da qualche settimana le attività sono riprese. Per prima cosa i pannelli luminosi sono stati sostituiti. Poi abbiamo iniziato a scorgere squadre di operai al lavoro. Che fosse in atto una ristrutturazione in grande stile? Che fosse in programma un grande evento?  Eppure quando le luci si sono di nuovo accese, poche sere fa, di avventori nemmeno l'ombra. Ma ora, con questa nuova iniziativa, chi ha più dubbi? Il locale è vivo come mai prima d'ora. 24 ore di cibo al giorno. Nemmeno Mc Donald's (che qui, fortunatamente, non è approdato). Chissà quali delizie, quali manicaretti, quali prelibatezze accoglieranno da oggi in poi gli avventori... 
Ora, per quanto auguro loro il pieno successo, un dubbio si fa strada nella mia mente bacata, una pericolosa associazione di idee, forse veicolata dall'aver recentemente letto un articolo sul valore rituale del cannibalismo nelle società tribali: che fine hanno fatto le "ragazze calde"?

domenica 19 febbraio 2017

L'eleganza del tasso

L'ARTE DEL RICICLAGGIO

Tra pochi giorni ci sarà la festa di Carnevale a scuola. Ho rimandato fino all'ultimo, ma ora mi tocca proprio aprire l'armadio e scoprire se, tra i costumi accumulati negli anni, con la complicità di qualche aggiunta, si nasconda un travestimento all'altezza dei desideri delle mie bambine. L'anno scorso ci avevo messo tanto impegno a creare un bel costume da zingara alla più grande, con tanto di bracciali sonanti, gonna a strati, scialle, foulard, finti orecchini a cerchio, per poi scoprire che -forse- avrebbe preferito far parte della schiera delle Else di Frozen o delle Cenerentole (intramontabili! C'è n'è sempre qualcuno ad una festa di Carnevale che si rispetti). Con un bel calcio all'ansia di originalità della mamma creativa, che per sè si era creata un simpatico costume da nonnina di Madagascar (avete presente? Quella che dice "Gatino cattivo" e giù di borsate in testa ad Alex il leone).
Perciò apro l'armadio e ci vado cauta. Seleziono i costumi che, come taglia, potrebbero fare al caso nostro. Li stendo sul lettone, con tanto di accessori al seguito, per valorizzarne le potenzialità. Mi soffermo su ciascuno, sottolinendone i pregi. Davanti a me, le bambine mi guardano con occhi da triglia. Chissà che pensano?!! Probabilmente si chiedono fin dove mi spingerò quest'anno. Dove sta la fregatura, in sostanza.
 Fata madrina di Cenerentola.
Fatina con tutù rosa.
 Fata dei dolci.
 Fata dell'acqua.
 Fate di tutti i tipi.
 Ma un bel costume da idraulico non ce lo propina quest'anno? Non aveva detto :"Quest'anno ci vestiamo tutti da tassi?". Lo smarrimento nei loro occhi è lampante. Davanti a loro ci sono solo costumi comprati. Niente di fatto in casa. Niente di riciclato. Niente cucito fai da te e colla a caldo. Perplesse, iniziano a provarsi alcuni dei travestimenti. Con poca convinzione, se devo essere sincera. Il dubbio, contagioso come l'ebola, si fa strada nella mia coscienza: che io abbia frainteso? Che la loro fosse solo una mossa studiata per destabilizzarmi? Che alla fine preferiscano i miei costumi strambi all'omologazione di quelli dei negozi? E ora come glielo confeziono un abito da tasso in quattro giorni?
Poi, dolcemente, un sorriso timido si fa strada sul viso della più grande, che si sta ammirando in un grazioso tutù rosa confetto corredato da alucce e coroncina.
"Chi potrei essere con questo vestito?".
"Una fata?" Propongo, indecisa e sospettosa.
Ma la delusione che leggo nei suoi occhi mi intima di correre subito ai ripari.
"No, certo. Banale. Ecco... potresti essere...".
Gli occhietti si fanno piccoli piccoli, mentre il mio unico neurone rimasto cerca disperatamente un appiglio.
"La fata dello zucchero filato?" Propone timidamente il mio piccolo aguzzino di rosa vestito.
"Proprio! Mi hai rubato di bocca il suggerimento". Il mio petto sussulta impercettibilmente cercando di camuffare un sospiro di sollievo.
 Niente tasso. Sarebbe stato elegante, ma no: a noi ci piacciono le fate

mercoledì 15 febbraio 2017

Pantofole felpate e fette di prosciutto




 Eccomi. È di nuovo il momento. Un rivolo di sudore mi scivola dal naso. Sono agitata, ma non voglio che nessuno se ne accorga. Devo essere forte. Più del solito. Stringo ansiosamente il manico del carrello e parto, facendo lo slalom tra i banchi dei surgelati. Questa volta andrà meglio, mi dico. Questa volta non mi farò trovare impreparata. Questa volta farò valere le mie ragioni. Ci siamo. Davanti a me, il nemico. A separarci solo una lurida vetrinetta che, in tempi migliori, sarà stata trasparente, ma che ora a mala pena lascia intravedere le merci esposte. Scelta oculata, quella di lasciarla sporca. Nessuno vuole vedere quanti microrganismi si possono celare dentro a qualche vaschetta di olive, tofu o feta. intorno a me non c'è nessuno. È il mio turno. Alzo gli occhi, lentamente. Lei è lì, in annoiata attesa. La osservo per qualche secondo. Un guizzo nei suoi occhi mi svela che nemmeno per lei è un gioco. Mi faccio coraggio e apro finalmente la bocca. Vomito fuori la mia richiesta, come se fosse una domanda d'aiuto. "Dueettidiprosciuttoaffumicatoinfettetagliatesottili". Non mi ricordo nemmeno di chiedere "per favore", da tanta è l'ansia. Lei mi guarda. Immobile. Nulla fa presagire che voglia agire nei prossimi minuti. Ripeto la mia richiesta più lentamente. Forse non ha capito. Del resto il mio inglese è tutto fuorchè chiaro e comprensibile. Scandisco bene ogni parola, accompagnandola con ritmati ed inequivocabili gesti. un sopracciglio della mia interlocutrice si alza, impercettibilmente, ma io l'ho notato. Avrà capito? Ti prego, dimmi di sì. Dimmi che anche stavolta non mi toccherà sfoderare la tipica arroganza di chi pretende che ad un banco di gastronomia ti servano esattamente quello che chiedi e in tempi brevi!!! L'attesa si prolunga. Lei si muove... avanza lentamente verso di me... io indietreggio, probabilmente per un istintivo moto di autoconservazione. Ma no, cosa vado a pensare? Tra me e lei c'è la vetrinetta, non mi farà nulla, sta solo prendendo il salume che le ho richiesto. Con un cenno della testa me ne chiede conferma. Visto? E io che me la stavo facendo sotto... Che sciocca!!! Eppure non sono tranquilla. A disturbarmi c'è un rumore- no, non ci posso credere! È proprio QUEL rumore!- come se al di là del bancone stessero trascinando un quarto di bue morto e sventrato. Eppure non posso sbagliarmi. La commessa sta strascicando i piedi. Nemmeno il più menefreghista dei bradipi riuscirebbe a metterci tanto a compiere un percorso di ben 50 cm! Lei sì. Lei può. Ho una mia teoria, comprovata da sei anni di esperienza: data una commessa di un supermercato nigeriano, a patto che indossi un paio di ciabatte infradito di plastica, esiste una relazione direttamente proporzionale tra la stessa e la lentezza con cui verrà servito il malcapitato cliente. È sabato. Giorno di spesa. Anche oggi ce l'ho fatta. Ho la mia brava vaschetta di prosciutto, tagliato a fette, nella borsa della spesa. Sottili- aggiungerei volentieri. No. Inutile darvi false speranze. La commessa ciabattata in realtà non ha le competenze per tali prodezze. Dopo quindici minuti di attesa, quando il rivolo di sudore aveva ormai raggiunto il mio alluce destro, con una smorfia di disgusto mi ha allungato un pezzo di polistirolo dove erano comodamente adagiate quattro bistecche di prosciutto affumicato, peso totale: 2,50 etti. "Che faccio: lascio?", mi ha ringhiato. Lascia! Lascio anch'io. La vittoria ha un sapore amaro, in fondo. Sa di affumicato