sabato 30 aprile 2011

chocolat

Quest'anno, a Pasqua, niente uovo di cioccolata.
Qui non credo esista nulla del genere, eccezion fatta per degli scioltissimi ovetti kinder che lascio volentieri sugli scaffali del supermercato che osa proporli.
Ma, appena terminate le vacanze, il cioccolato si è imposto sulle nostre golosissime vite.
L'autista di Oscar, Joseph, è tornato dal villaggio con un sacco da  10 kg di fave di cacao: il padre è proprietario di una piantagione di cacao e così gli avevamo commissionato un "piccolo" assaggio della sua produzione.
Ragazzi!!! Ci si è aperto davanti tutto un mondo, all'apertura di quel sacco!
Intanto perchè il metodo di conservazione e stoccaggio è indescrivibile. Ma, superato l'impatto, affondare le mani in quei grani duri e profumatissimi è stato come entrare per la prima volta in una pasticceria che non si conosce: quali leccornie ci proporranno? quali incredibili sapori ci delizieranno il palato? che sensazioni proveremo?
Sbucciata la prima fava per vedere cosa celava al suo interno, abbiamo assaporato il seme senza pensarci due volte. Però, ecco, le fave di cacao non sono esattamente un dolce. Sono la materia prima, anzi, primissima, con cui si ottiene il cioccolato. E ne ricordano il gusto solo se uno ha molta immaginazione.
Un sapore primordiale ci ha coinvolto in un turbine di sensazioni senza volto e senza tempo.
Aspra, forte, quasi alcolica in un primo momento, la fragranza cacaosa ha prevalso verso la fine, ma con una prepotenza talmente selvaggia che non posso dire di esserne uscita compiaciuta.
Che fare?
Un sacco da 10 kg ci aspettava, in un angolo della sala.
Oscar, dopo una veloce consultazione di internet, ha dato il via alle sperimentazioni: tostatura, sbucciatura, massa di cacao, concaggio,...
Così, per una sera, la nostra casa si è trasformata in un laboratorio, è stata invasa dal profumo intenso e goloso del cacao tostato, ci siamo sentiti un po' come i conquistadores spagnoli alle prese con lo xocoatl dei Maya e un po' come Willy Wonka nella sua fabbrica.
O forse come Juliette Binoche nel film Chocolat, alle prese con le preferenze in fatto di cioccolato di ciascuno degli avventori del suo negozio.
Conquisteremo la Nigeria con il nostro cioccolato???

martedì 19 aprile 2011

Okada mon amour

Avevo già parlato degli okada, gli spericolatissimi taxisti su due ruote che popolano le strade di Lagos. Oggi ho tempo da perdere, le bambine dormono, le lezioni per domani sono state preparate, così mi soffermo a descrivere alcuni aspetti buffissimi che mi capita di cogliere quotidianamente per strada.
Gli okada, anche se sembrano dei centauri senza arte né parte, in realtà sono organizzati in un sindacato, con regole precise e normative che chi si accinge ad intraprendere questo mestiere deve conoscere. E’ divertente il fatto che, tra queste norme, non credo ci sia nulla relativo ad un qualsivoglia codice della strada. Una volta che posseggono una moto e hanno tutti gli arti necessari a guidarla, poco importa se conoscono o meno le norme che regolano il traffico stradale! Ecco dove tutto si complica! Il diritto di precedenza è un optional,  i pedoni si devono arrangiare, non parliamo poi del sorpasso! A destra o sinistra, basta che ci sia spazio. Anche il numero dei passeggeri è aleatorio: in genere ci si regola in base alla portata: se la moto è abbastanza comoda, possono salirvi anche quattro persone. O due più il bagaglio. Nei giorni scorsi ho assistito al passaggio di un okada che trasportava un uomo e la sua scala a pioli. Giuro!!! Avete presente quelle scale da cantiere, alte almeno tre metri? Ecco, proprio una di quelle.  Oggi poi ho visto una donna che portava un enorme contenitore di cibo: l’autista davanti, poi il cibo, poi lei e sulla sua schiena, ben avvolto nella fascia e addormentato come un angioletto, il suo pupo di pochi mesi.  Poco dopo un uomo molto distinto, con giacca e cravatta, è sfrecciato davanti alla mia macchina con una valigia tra lui e l’okada.
Insomma,  il trasporto a Lagos viaggia su due ruote e tutto quanto ci può stare sopra.
A me l’uso di tale mezzo è stato vietato dal marito. Da sottolineare: dal marito, non dal buon senso. La curiosità di provare questa ebbrezza è tale che lascerei volentieri da parte ogni prudenza. In effetti il divieto impostomi ha un suo perché: la maggior parte degli incidenti stradali qui avvengono per colpa degli okada, che sono davvero spericolati, anche perché i mezzi con cui devono confrontarsi generalmente sono camion giganteschi o suv  grandi come mammuth o ancora pulmini scassati con scarichi a prova di ztl. Non concedendo mai la precedenza (chissà, forse devono fare un giuramento del tipo: “Io, tizio caio, della categoria degli okada, giuro solennemente di non rispettare mai alcuna norma del codice stradale. Quandanche mi spiegassero come funziona una rotonda, io ignorerò l’insegnamento; quandanche , di fronte ad un semaforo rosso, mi venisse la tentazione di fermarmi, resisterò e continuerò la mia marcia. Questo prometto e giuro”) è facile rischiare ogni secondo di finire sotto le ruote grandi come poltrone dei propri vicini di corsia o, quel che peggio, di finire come un moscerino sul parabrezza della macchina che sta marciando nell’altro senso.
Così per ora rinuncerò. Ma non demordo. Lo prometto e lo giuro. Prima o poi ne acchiapperò anch’io uno al volo e…Via, sfreccerò per le strade di Lagos con i capelli al vento, Emma seduta davanti a me e Bianca sulla schiena. Oscar no. Non ci sta. E’ troppo anche per i canoni nigeriani. A meno che… non diventi lui stesso un okada!!!

 Okada che trasporta il motore di una macchina 

sabato 16 aprile 2011

sogno nel traffico

Caldo. Caldo che ti scioglie, ti paralizza, ti dà allucinazioni. Senza tregua, se non per l'artefatto refrigerio delle stanze rinfrescate ad aria condizionata.
Il caldo qui si misura a magliette che ti cambi nel giro di poche ore, a litri di acqua che ti scoli, a volte in cui sogni di sguazzare in una lama di un torrente di montagna.
A proposito di montagna... Qualche tempo fa un mio carissimo amico che vive ormai da anni all'estero mi aveva raccontato come, per chi è nato a ridosso di rilievi come noi, sia difficile abitare altrove, almeno in un primo periodo, in quanto la montagna fa da punto di riferimento, da schienale su cui appoggiarsi per riflettere e guardarsi in giro, da argine e confine del proprio universo.  Da qualche tempo ho iniziato a rendermi conto che in effetti qui, dove non esistono rilievi e le cose più alte sono orripilanti palazzoni di cemento e vetro, mi manca un appoggio, mi sento letteralmente persa: non riesco ad orientarmi, cosa in cui ero bravissima prima. Ancora oggi, se mi si chiede dov'è la mia casa rispetto al centro di Lagos, un po' tentenno a rispondere. E riesco poi ad uscire dall'imbarazzo solo perchè ho in mente l'immagine della foto presa dal satellite, vista più e più volte sul computer.
Quest'anelito montanaro unito al caldo dei giorni scorsi ha provocato l'episodio che vi sto per raccontare.
Ero sul pulmino della scuola, residuo bellico della Guerra delle Due Rose, in cui gli ammortizzatori sono fatti in pietra e i sedili in legno, e stavo tornando tutta sola da scuola. Tutta sola se vogliamo ignorare la presenza dell'autista e dell'accompagnatore, due personaggi le cui gesta rimarranno impresse nella mia mente per molti anni a venire. L'autista è un ragazzo di 20 anni, magro come un chiodo e direi anche abbastanza simpatico,se solo riuscissi a capire cosa dice e se non lo vedessi sempre fare solo due cose: guidare o dormire. Per fortuna mai contemporaneamente. Deve avere un sonno ancestrale, uno di quei sonni che non riesci a smaltire neppure in un'intera vita passata a fare il collaudatore di materassi. L'ho addirittura vista dormire sdraiato sul cofano di una macchina! L'accompagnatore è un uomo di età indefinita, vestito con improbabili camicie a scacchi modello taglialegna, che si dimostra sempre molto cerimonioso ed educato mentre apre la portiera ed attende che tu salga sul mezzo, per poi lasciare ogni contegno nel momento in cui il pulmino è parcheggiato nel cortile della scuola e lo trovi che dorme stravaggato sul sedile posteriore, con la canottiera fuori dalle braghe e uno stuzzicadente in mezzo ai premolari.
Comunque sia, quel mattino ho ignorato la presenza di questi due incredibili esempi di Homo dormiens nigerianus e mi sono sistemata alla bell'e meglio sul confortevole sedile in pino marittimo del pulmino scolastico. Mi accade sempre di immergermi in ogni tipo di riflessione, mentre viaggio verso casa al termine delle lezioni: a volte ripenso ai ragazzi che ho appena lasciato in classe, a volte mi chiedo come starà Emma, a volte ancora provo ad immaginare cosa stanno facendo a casa Bianca e la sua nuova nanny, che si chiama Nora. A volte, meno frequentemente, mi addormento. Questo che vi sto raccontando è proprio uno di questi casi. Mi sono appisolata dolcemente, per quanto fosse possibile vista la sistemazione, e sono subito piombata in un sogno fatto di nulla, di immagini sconnesse, di volti, di frasi,...
Poi, d'un tratto, tutto è cambiato: con il senno di poi credo che l'autista avesse appena imboccato una strada più dissestata, che ha provocato degli scossoni che sono entrati a far parte del mio sogno.
Mi trovavo in montagna, su, in alto, in cima ad un cocuzzolo; intorno a me, solo rocce e prati spazzati dal vento, quei venti di montagna che bruciano da tanto sono freddi, e che fischiano, da tanto sono potenti. Mi sentivo così libera e felice che non sentivo neppure più il mio peso corporeo (che, tra parentesi, nei miei sogni si aggira intorno ai 54 kg... Sennò che sogno sarebbe!?!) e volteggiavo qua e là come una leggiadra farfalla.
Correvo a rotta di collo giù dai pendii, ritornavo su sempre correndo (era proprio un sogno...) e saltellavo sulle rocce come uno stambecco. Nel mio vagabondaggio ad un certo punto ho incontrato un torrente, uno di quei magnifici microsistemi in cui puoi perderti per ore ad ammirare il miracolo della natura. Era anch'esso un piccolo ed innocente spettacolo: acque limpide, gelide, cristalline, in cui affondavo le mani per gustarne la gelida fragranza.
Proprio mentre mi accingevo ad abbeverarmi, improvvisamente, un lampo ha squarciato l'orizzonte, il cielo è diventato di un grigio intenso e un tuono (clacson?) fragoroso ha rotto il silenzio. Il vento, reso furioso dall'incalzare della tempesta, non mi permetteva di rimanere in piedi e così mi sono accasciata al suolo, cercando di raggiungere carponi un qualche rifugio in cui ripararmi. Ma, per poco che avanzassi, sempre il vento mi risbatteva indietro, sempre più in là, finchè ad un certo punto non mi sono trovata sul ciglio di un burrone. Ecco, ho pensato nel mio sogno, stavo così bene, ero così felice, e adesso precipiterò giù senza possibilità di salvezza. E tutto sommato ero anche serena nell'affrontare una fine così miserrima delle mie imprese!
Ma proprio mentre un piede era già in fallo e sentivo tutto il mio baricentro spostarsi verso il baratro, imminente alla caduta (probabilmente frenata improvvisa, ripresa, altra frenata, ecc.) ecco i soccorsi: un coso grosso, nero e setoso è corso in mio aiuto e mi ha salvato. A metà tra il sogno e la realtà, ho aperto gli occhi per far la conoscenza del mio benefattore. Non ci crederete. Una farfalla. Di quelle della biblioteca. Molte si sono infilate in pulmino e hanno creato una colonia, una succursale. Sono delle pendolari. Quella che mi ha "salvata" stava volando da un punto all'altro del pulmino e si è imbattuta nella mia faccia. Forse stava sognando anche lei. Di essere in montagna, di essere un'aquila e di salvare uno sprovveduto essere umano che stava per precipitare in un precipizio.

sabato 9 aprile 2011

Ultimissime da Lagos

Ciao a tutti, amici e simpatizzanti!
un'altra calda giornata si sta svolgendo qui in quel di Lagos. Calda sia per le temperature che per la politica locale: oggi è infatti la seconda giornata di votazione per le elezioni presidenziali, anche se in realtà la scorsa settimana non è stata considerata perchè a metà pomeriggio di sabato scorso hanno annullato tutto per problemi con le schede elettorali.
Sono appena uscita sul balcone e la prima cosa che mi ha colpita è stato il silenzio. Già perchè una giornata
No Movement significa niente macchine o okada (i taxi a due ruote) in giro. Ho addirittura sentito il gridio degli uccelli che popolano gli alberi del nostro giardino! Non mi era mai successo, dico davvero!
La giornata in famiglia procede bene, un po' sonnecchiosa. Bianca sta mettendo il primo dentino e stamattina aveva qualche linea di febbre. Oscar si è ricordato di aver visto nel cortile dietro casa un albero le cui foglie sono adatte a curare le alte temperature e così abbiamo preparato un decotto da somministrare alla pupa. Non so come conoscesse questa particolarità, forse quando era piccolo e viveva qui in Nigeria qualcuno deve averglielo detto. Fatto sta che, mentre lo stavamo preparando, il cuoco si è avvicinato e ci ha dato ulteriori informazioni: non si tratta di foglie qualsiasi, ma di chinino. Evvai!!!Così, invece di imbottirla di farmaci, cosa a cui sono contraria da sempre, ho trovato una cura naturale efficacissima. Per la posologia, nessun problema: il cuoco ci ha spiegato per filo e per segno come e quanto assumerne.
Oggi, a parte godermi la tranquillità familiare, mi sto anche leccando le ferite. Ieri infatti è successa una cosa bruttissima: abbiamo dovuto licenziare Stella. Sì, proprio lei, la nanny di Bianca. Ieri mattina i bambini della scuola sono andati in gita e io, dopo avere lavorato la prima ora, sono tornata a casa. con due ore di anticipo rispetto al solito. entro in casa e trovo il cuoco in cucina ( e dove, se no?) e Bianca addormentata in camera. di Stella neppure l'ombra. Chiedo spiegazioni al cuoco, il quale mi dice che, come al solito, la nanny ha fatto addormentare Bianca e se n'è andata. "Come al solito????". "Certo, dice lui, fa spesso così". Improvvisamente una furia rabbiosa mi ha assalito. Ho afferrato il cellulare e ho composto il numero di Stella. Bè, vi risparmio il resto. Vi basti sapere che, non potendomi più fidare di una persona che sistematicamente abbandona mia figlia per andare a fare chissà che, ho deciso di licenziarla. Non è stata una decisione facile, ma mi sono sentita così tradita e così ingannata che tutto sommato sono stata persino contenta della mia reazione nei suoi confronti. Lei sapeva di aver tradito la mia fiducia. Sapeva che non sarei stata contenta di sapere che ogni mattina lei abbandonava il mio piccolo tesoro. Così se n'è andata. Senza salutare. E pensare che, dopo averne sentite d'ogni sulle nanny di amiche e conoscenti, mi ritenevo una fortunata! la mia ci sapeva fare con le bambine, giocava con loro ed anticipava tutti i loro bisogni. Peccato per questo piccolo particolare dell'abbandono mattutino...
Ora sono serena, la mia era una scelta obbligata. Non potevo più fidarmi di una persona così. Ora andrò avanti, domani verrà un'altra persona a fare un colloquio e vedremo come va a finire.
Però questo fatto mi ha privato di qualcosa, lo sento; ecco perchè parlo di leccarmi le ferite.
 La mia ingenuità se n'è andata via con Stella

mercoledì 6 aprile 2011

Stella e i Lego

Ho già parlato in questo mio neonato blog della signora che si occupa di Bianca, il cui nome è Stella (contando che la bambina che abita in un'altro appartamento di questa casa si chiama Luna, direi che potremmo quasi scriverci su una barzelletta!). Ha un'età indefinita, anche se lei sostiene di avere 31 anni, cioè 5 meno di me, ma sembra averne molti di più. Comunque sia, è una che è stata bambina più o meno quando lo ero io. Quindi, una che dovrebbe avere lo stesso bagaglio culturale ed esperienziale che ho io.
 DOVREBBE avere.
Se fosse in Italia lo avrebbe inevitabilmente.
Non qui, però.
Qui tutto è fatica e l'infanzia è ancora una questione di sopravvivenza.
Oggi pomeriggio Emma ha rovesciato sul pavimento il suo cestone pieno di Lego e ha iniziato a fare delle costruzioni. Io da piccola con i Lego ci ho passato delle ore divertentissime, ecco perchè, al momento di fare le valigie per trasferirci qui, non ho trascurato di dedicare un po' di spazio per questo fantastico e creativissimo gioco. Stella stava mangiando e ci guardava incuriosita. In genere, quando ha finito di mangiare sta un po' a giocare con le bimbe e poi si prepara per tornare a casa, dai suoi figli. Oggi no.
Oggi si è seduta per terra, tra Bianca ed Emma. Prima, silenziosa e un po' intimidita, le ha osservate giocare; dopo qualche minuto si è sciolta e ha allungato una mano per afferrare due pezzi colorati: li ha uniti tra loro e subito ne ha presi altri due. Poi ancora due. E ancora altri.
Concentrata, come può esserlo un bambino piccolo alle prese con un nuovo gioco, ha sistemato un pezzo sopra l'altro, senza nessun criterio se non il bisogno di unire colori e forme diverse.
Quando, inevitabilmente, la costruzione è crollata per mancanza di stabilità, ha ricominciato da capo, instancabile.
Dopo un'ora di puro divertimento, finalmente il suo pragmatismo ha prevalso.Il viaggio verso casa è lungo e impervio, non bisogna indugiare. Si è alzata, si è sistemata il vestito, si è infilata le ciabatte e ha lanciato un ultimo sguardo - bramoso- verso i Lego, abbandonati sul pavimento:
 "Continuo domani", ha detto.
Poi  ha salutato me e le bambine e se n'è tornata a casa dai suoi bimbi.
Che, ormai lo so, non hanno i Lego.

martedì 5 aprile 2011

farfalle in biblioteca

L'altra sera è scoppiato un temporale (di tipo tropicale, s'intende). Tutto è incominciato con forti raffiche di vento, giganteschi nuvoloni neri hanno oscurato le stelle e poi è arrivata la pioggia. Tanta pioggia. A secchiate. Non so quanto sia durato, perchè sono andata a dormire, "cullata" dal tamburellare dell'acqua sul tetto. Al mattino, pozzanghere di acqua fangosa ovunque, foglie e rami di alberi a terra, un tasso di umidità da capogiro.
Fin qui, nulla di strano: mi è già capitato in questi mesi di assistere a dei temporali, alla loro violenza, alla calma che ne segue, al rifiorire della natura dopo l'innaffiatura di acqua piovana. 
Ma non ero preparata a questo.
Arrivata a scuola, stanca come lo si può essere solo al lunedì mattina, sono entrata in classe a testa bassa, pensando a quante ore mi separavano dal letto e dal riposo serale. Dopo aver salutato i bambini, mi sono seduta alla cattedra.
AAAAARRRGGGGG!!!!! con un balzo da giovane gazzella mi sono trovata all'altro lato della stanza! Un coso scuro, grosso e peloso aveva sfiorato la mia mano e la mia mente ha per un nanosecondo visualizzato l'immagine del topo che proprio l'altra sera mi ha attraversato la strada. Ricuperata un po' di dignità, sempre davanti agli occhi sconcertati dei miei studenti, mi sono avvicinata per dare una seconda occhiata: noncurante di me e della mia codardia, sulla mia sedia stazionava una farfalla di dimensioni considerevoli, esotica cugina delle nostre falene. Scampato pericolo! Una farfalla, per quanto grande essa sia, è sempre una farfalla! così l'ho fatta sloggiare dal mio scranno e ho incominciato la lezione. Ma non era finita: Una manina, dal banco in fondo a destra, ha attirato la mia attenzione. "Sì, Ale, che c'è?", chiedo. "Maestra, dovremmo chiudere la porta, se no ne entrano altre. Sai, dopo la pioggia arrivano sempre...". La lezione l'hanno fatta loro a me: la pioggia, qui, porta le farfalle. Non solo acqua. 
Le ho ritrovate, poi, le farfalle. Stamattina erano tutte sul muro del corridoio, che da bianco è diventato tutto nero da tante ce n'erano!
La scuola italiana è un edificio molto grande, con le aule tutte affacciate ad un corridoio che in realtà è un lungo balcone, che dà sul giardino. Quindi è all'aperto e lucertole, gechi e insetti vari la fanno da padroni ed escono ed entrano dalle aule a loro piacere.
Oggi stavo mettendo in ordine i libri della biblioteca: approfittando dell'assenza di molti dei ragazzi (che sono in gita scolastica in Sicilia), noi insegnanti abbiamo alcune ore libere e così ci siamo lanciati nell'impresa di risistemazione del patrimonio librario della scuola. Io mi stavo occupando della sezione dedicata alla letteratura italiana, a storia e a geografia. Ma ogni volta che spostavo un volume, ecco una farfalla alzarsi in volo, impolverata e- lo immagino io- tossicchiante. Nel giro di pochi minuti, la biblioteca si è riempita di farfalle, alla ricerca di un altro posto in  cui rifugiarsi. Da qui la mia riflessione, che segue:
Qui non abbiamo topi di biblioteca.
Qui, in biblioteca, abbiamo le farfalle.

domenica 3 aprile 2011

Acqua.... Acqua!!!!

domenica 3 aprile
siamo senz'acqua.
Questa mattina, appena sveglia, sono uscita sul balcone per godermi i primi raggi di sole. Lo faccio spesso, anche in Italia: fa parte del rituale di iniziazione alla giornata, di cui fanno parte umili ma importantissimi gesti, quali bere il caffè, fare pipì, lavarsi i denti, ecc.
Ma stamattina un particolare ha attirato la mia attenzione: una ragazzina, mai vista prima, in ciabatte e vestitino rosa, stava arrivando dal cancello con un enorme secchio di plastica blu in testa. Siccome la nostra casa ospita 4 famiglie e appena al di là del nostro muro di cinta si trovano gli alloggi dei relativi domestici, con i loro congiunti, ho subito capito (che genio che sono, eh?) che doveva trattarsi di una di loro. Mi sono appostata per vedere cosa avrebbe fatto e l'ho vista avvicinarsi alla pompa dell'acqua, aprire il rubinetto e riempire il secchio fino all'orlo. poi, come se nulla fosse, se l'è nuovamente caricato sulla testa (ragazzi, ma dovevano essere almeno 30 litri!!!!) e se n'è andata per la strada da cui era comparsa. L'ho vista entrare nei quartieri della servitù e poi è stata fagocitata in un mega caos di bambini e ragazzini schiamazzanti. Dopo qualche minuto, l'istinto di sopravvivenza mi ha dato un pizzicotto e sono corsa in bagno: dal rubinetto non scendeva nulla. Idem in cucina. idem nel bagno della mia camera. Eravamo senz'acqua. Inesorabilmente.
 Addio bucato! Addio lavaggio delle stoviglie della sera prima! Addio doccia e lavaggio denti! La mia ragazzina dal vestito rosa lo sapeva, altro che se lo sapeva! E si è venuta a prendere le ultime gocce, per lei e per la sua famiglia.
Prima di andare avanti devo spiegare come funziona qui la fornitura dell'acqua. Non esiste un acquedotto comunale che fornisca acqua corrente alle case: ogni singola abitazione deve fare da sè; la maggior parte delle case che ho visto è fornita di una cisterna, in bilico su 4 alti pali, posizionata nel cortile, da cui partono dei tubi (collegati ad una pompa nei migliori casi, che sfruttano la forza di gravità negli altri) che forniscono di acqua corrente i sanitari e la cucina. La nostra casa, eccezione fortunata, ha invece una cisterna nel cortile, che viene approvvigionata di acqua una volta al giorno: un'autobotte ogni mattina si carica di acqua dal pozzo,profondo 200 metri, che è situato nella Yarda (dove lavora Oscar) e la scarica nella nostra vasca. Una pompa poi provvede a rifornire tutte le abitazioni.
 Con il caos delle elezioni di questi giorni il rifornimento è stato un po' problematico e così siamo arrivati a contenderci l'ultima goccia di acqua rimasta. Noi, abituati ad usare ed abusare dell'acqua, ci siamo finalmente resi conto di quanto sia prezioso questo elemento. L'abbiamo sperimentato sulla nostra pelle. La ragazzina dal vestito rosa sa anche questo, anzi, si può dire che non conosce nient'altro. Perchè l'acqua è vita e qui è sempre una lotta per la sopravvivenza.
Mentre scrivo, l'acqua è tornata, l'emergenza è finita, i denti sono lavati, lo sciacquone è stato tirato. Siamo salvi!

sabato 2 aprile 2011

no movement

sabato 2 aprile
non possiamo uscire di casa... Non perchè la macchina sia rotta o perchè qualcuno di noi stia male; in realtà è un'imposizione dall'alto a tutta la popolazione. oggi iniziano le votazioni per le elezioni presidenziali e per ragioni di sicurezza è stato vietato a tutti di uscire per le strade dal mattino fino a sera. E' una novità, direi piacevole, tutto sommato, perchè come noi sono bloccati a casa anche i nostri vicini e così ci siamo uniti a loro per passare la giornata. in questo momento nel giardino è in atto una partita di ping pong a cui partecipa anche Oscar; Emma sta giocando con una delle bambine che abitano qui e credo che tra un po' metteranno in funzione la piscinetta di plastica che c'è in giardino; Bianca è qui con me e sta dormendo. Forse nel pomeriggio ci metteremo tutti insieme a preparare le tagliatelle. L'atmosfera è festosa, perchè difficilmente si ha l'occasione per passare del tempo tutti insieme: ognuno ha la sua vita, gli orari non sempre coincidono e invece questa imposizione di stare a casa costituisce una pausa nella routine, spesso un po' troppo movimentata per i miei gusti.
In queste ultime settimane la stanchezza mi è piombata addosso come un macigno: vorrei dormire tutto il giorno, vorrei non avere sempre mille cose a cui pensare, vorrei stare un po' sola per riordinare le idee. Che sono tante e spesso confuse. Vorrei poter districare i fili di tutti i pensieri che mi affollano la mente, farne tanti piccoli gomitoli separati per colore, ordinati; invece è tutto un caos...
Gli stimoli a cui sono sottoposta sono tanti, sia a scuola che a casa: troppi, per come ero abituata. In Italia, la casa era il mio rifugio, potevo stare tranquilla a riflettere e, nel caso, decidere io se farmi contaminare dall'esterno oppure no; qui invece, vuoi per la presenza dei domestici, vuoi perchè si vive molto anche all'aperto, non riesco quasi a costruirmi uno spazio tutto mio. E questo un po' mi stressa.
Ma d'altra parte costituisce anche una fonte quasi inesauribile di nuovi progetti. Non resisterei qui, se così non fosse.

le origini

in principio era il caos...
Partiti dall'Italia il 30 dicembre 2010, io e la mia famiglia (mio marito Oscar, mia figlia Emma di 4 anni e mezzo, mia figlia Bianca di 5 mesi), siamo arrivati nella notte dello stesso giorno nel caldo afoso di Lagos. Mio marito ha un contratto con una ditta edile, la stessa per cui ha lavorato suo padre, io sono stata ingaggiata dalla scuola italiana come insegnante. Viviamo a Victoria Island, un po' fuori dal centro di Lagos, in una bella casa con giardino che condividiamo con altre tre famiglie.