sabato 16 aprile 2011

sogno nel traffico

Caldo. Caldo che ti scioglie, ti paralizza, ti dà allucinazioni. Senza tregua, se non per l'artefatto refrigerio delle stanze rinfrescate ad aria condizionata.
Il caldo qui si misura a magliette che ti cambi nel giro di poche ore, a litri di acqua che ti scoli, a volte in cui sogni di sguazzare in una lama di un torrente di montagna.
A proposito di montagna... Qualche tempo fa un mio carissimo amico che vive ormai da anni all'estero mi aveva raccontato come, per chi è nato a ridosso di rilievi come noi, sia difficile abitare altrove, almeno in un primo periodo, in quanto la montagna fa da punto di riferimento, da schienale su cui appoggiarsi per riflettere e guardarsi in giro, da argine e confine del proprio universo.  Da qualche tempo ho iniziato a rendermi conto che in effetti qui, dove non esistono rilievi e le cose più alte sono orripilanti palazzoni di cemento e vetro, mi manca un appoggio, mi sento letteralmente persa: non riesco ad orientarmi, cosa in cui ero bravissima prima. Ancora oggi, se mi si chiede dov'è la mia casa rispetto al centro di Lagos, un po' tentenno a rispondere. E riesco poi ad uscire dall'imbarazzo solo perchè ho in mente l'immagine della foto presa dal satellite, vista più e più volte sul computer.
Quest'anelito montanaro unito al caldo dei giorni scorsi ha provocato l'episodio che vi sto per raccontare.
Ero sul pulmino della scuola, residuo bellico della Guerra delle Due Rose, in cui gli ammortizzatori sono fatti in pietra e i sedili in legno, e stavo tornando tutta sola da scuola. Tutta sola se vogliamo ignorare la presenza dell'autista e dell'accompagnatore, due personaggi le cui gesta rimarranno impresse nella mia mente per molti anni a venire. L'autista è un ragazzo di 20 anni, magro come un chiodo e direi anche abbastanza simpatico,se solo riuscissi a capire cosa dice e se non lo vedessi sempre fare solo due cose: guidare o dormire. Per fortuna mai contemporaneamente. Deve avere un sonno ancestrale, uno di quei sonni che non riesci a smaltire neppure in un'intera vita passata a fare il collaudatore di materassi. L'ho addirittura vista dormire sdraiato sul cofano di una macchina! L'accompagnatore è un uomo di età indefinita, vestito con improbabili camicie a scacchi modello taglialegna, che si dimostra sempre molto cerimonioso ed educato mentre apre la portiera ed attende che tu salga sul mezzo, per poi lasciare ogni contegno nel momento in cui il pulmino è parcheggiato nel cortile della scuola e lo trovi che dorme stravaggato sul sedile posteriore, con la canottiera fuori dalle braghe e uno stuzzicadente in mezzo ai premolari.
Comunque sia, quel mattino ho ignorato la presenza di questi due incredibili esempi di Homo dormiens nigerianus e mi sono sistemata alla bell'e meglio sul confortevole sedile in pino marittimo del pulmino scolastico. Mi accade sempre di immergermi in ogni tipo di riflessione, mentre viaggio verso casa al termine delle lezioni: a volte ripenso ai ragazzi che ho appena lasciato in classe, a volte mi chiedo come starà Emma, a volte ancora provo ad immaginare cosa stanno facendo a casa Bianca e la sua nuova nanny, che si chiama Nora. A volte, meno frequentemente, mi addormento. Questo che vi sto raccontando è proprio uno di questi casi. Mi sono appisolata dolcemente, per quanto fosse possibile vista la sistemazione, e sono subito piombata in un sogno fatto di nulla, di immagini sconnesse, di volti, di frasi,...
Poi, d'un tratto, tutto è cambiato: con il senno di poi credo che l'autista avesse appena imboccato una strada più dissestata, che ha provocato degli scossoni che sono entrati a far parte del mio sogno.
Mi trovavo in montagna, su, in alto, in cima ad un cocuzzolo; intorno a me, solo rocce e prati spazzati dal vento, quei venti di montagna che bruciano da tanto sono freddi, e che fischiano, da tanto sono potenti. Mi sentivo così libera e felice che non sentivo neppure più il mio peso corporeo (che, tra parentesi, nei miei sogni si aggira intorno ai 54 kg... Sennò che sogno sarebbe!?!) e volteggiavo qua e là come una leggiadra farfalla.
Correvo a rotta di collo giù dai pendii, ritornavo su sempre correndo (era proprio un sogno...) e saltellavo sulle rocce come uno stambecco. Nel mio vagabondaggio ad un certo punto ho incontrato un torrente, uno di quei magnifici microsistemi in cui puoi perderti per ore ad ammirare il miracolo della natura. Era anch'esso un piccolo ed innocente spettacolo: acque limpide, gelide, cristalline, in cui affondavo le mani per gustarne la gelida fragranza.
Proprio mentre mi accingevo ad abbeverarmi, improvvisamente, un lampo ha squarciato l'orizzonte, il cielo è diventato di un grigio intenso e un tuono (clacson?) fragoroso ha rotto il silenzio. Il vento, reso furioso dall'incalzare della tempesta, non mi permetteva di rimanere in piedi e così mi sono accasciata al suolo, cercando di raggiungere carponi un qualche rifugio in cui ripararmi. Ma, per poco che avanzassi, sempre il vento mi risbatteva indietro, sempre più in là, finchè ad un certo punto non mi sono trovata sul ciglio di un burrone. Ecco, ho pensato nel mio sogno, stavo così bene, ero così felice, e adesso precipiterò giù senza possibilità di salvezza. E tutto sommato ero anche serena nell'affrontare una fine così miserrima delle mie imprese!
Ma proprio mentre un piede era già in fallo e sentivo tutto il mio baricentro spostarsi verso il baratro, imminente alla caduta (probabilmente frenata improvvisa, ripresa, altra frenata, ecc.) ecco i soccorsi: un coso grosso, nero e setoso è corso in mio aiuto e mi ha salvato. A metà tra il sogno e la realtà, ho aperto gli occhi per far la conoscenza del mio benefattore. Non ci crederete. Una farfalla. Di quelle della biblioteca. Molte si sono infilate in pulmino e hanno creato una colonia, una succursale. Sono delle pendolari. Quella che mi ha "salvata" stava volando da un punto all'altro del pulmino e si è imbattuta nella mia faccia. Forse stava sognando anche lei. Di essere in montagna, di essere un'aquila e di salvare uno sprovveduto essere umano che stava per precipitare in un precipizio.

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